TRANSLAGORAI CLASSIC / ©
2025
Trento Running Club
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Una prima volta ne abbiamo affrontato solo una parte partendo con 18 kg sulle spalle, portandoci tende, lattine di birra ed una leggendaria bottiglia di vino rosso. Una seconda volta con uno zaino da 10-12 kg sfruttando bivacchi e l’unico rifugio che s’incontra lungo il percorso; ed ora che mi sono scoperto un “trail runner” (tra molte virgolette) non poteva mancare in versione tutta d’un fiato (o FKT come viene chiamata dagli addetti ai lavori).
L’idea girava nella testa da un po’, avevo anche sentito parlare di una leggendaria partenza di gruppo, ma non ero mai riuscito ad afferrare il giorno esatto della partenza e quindi puntualmente si rimandava all’estate successiva.
Finalmente ad inizio estate, nel post gara della Ledro Sky, i pianeti si allineano e ne nasce l’occasione giusta, dopo un rapido controllo al calendario sul cellulare si fissa la data: 29 luglio.
Siamo io, Simone e Andrea (e il suo furgone). Alle 10 di sera arriviamo al passo Rolle, puntiamo la sveglia sulle 3.30 e dopo una birretta si dorme. Temporale durante la notte e la gioia di sentire la pioggia sopra la testa mentre siamo dentro il furgone e non quando ci arrampichiamo sul passo Colbricon.
Alle ore 4.15 la temperatura è frizzante ed il cielo sereno, le pance sono state riempite e le scarpe allacciate: è ora di fare clic sull’orologio, siamo partiti!
Scendiamo lungo la provinciale fino a Malga Rolle dove ci inoltriamo nel bosco in direzione laghi di Colbricon. Simone è davanti e tiene un buon ritmo, poi si ferma convinto di aver fissato con la frontale gli occhi di un lupo, in maniera non troppo convinta decidiamo che si trattava degli occhi di un capriolo o forse di una volpe e riprendiamo a correre. Una volta superati i laghi si inizia a salire, alle nostre spalle la silhouette delle Pale di San Martino sta diventando via via più visibile e nel frattempo siamo al passo Colbricon; sotto di noi un mare di nuvole dalle quali sbucano inconfondibili le vette dolomitiche che iniziano a contornarsi di arancione. Ci fermiamo per ammirare lo spettacolo: qualche foto per riempire il telefono e qualche sguardo per riempirsi occhi e cuore, poi si spengono le frontali e si riparte.
Davanti a noi una distesa di blocchi di porfido mentre sulla nostra destra il Catinaccio ed il Latemar si stanno accendendo e l’enrosadira ci ruba gli occhi per qualche secondo; poi si torna a fissare il porfido perché là, ogni appoggio del piede va individuato sul momento. E quindi via di forcella in forcella, fino a quella di Canzenagol dalla quale ci tuffiamo verso il rifugio Cauriol, o almeno così era nelle nostre intenzioni, la realtà ci butta in faccia una discesa bagnata e super insidiosa; ma siamo sui sentieri della Translagorai, di cosa ci stupiamo?
Rifugio Cauriol, un terzo del percorso se n’è andato è ora di fare una pausa: cambio calzini, barretta, cochina e due chiacchiere con il gestore Tommaso. Fine della pausa.
Inizia a fare caldo e sulla salita verso il Sadole sento le gambe un po’ appesantite, con 50 km ancora davanti non è proprio una bella cosa, ma provo a non pensarci. Simone e Andrea sembrano pimpanti e tengono un buon ritmo io stringendo i denti riesco a stare a non più di qualche decina di metri di distanza.
Mi sembrava di ricordarlo bene il tratto fino alla Litegosa, ma forse il fatto che finora l’avevo sempre percorso in discesa sta ingannando la mia memoria, le pendenze mordono i miei polpacci e faccio veramente fatica. Mi stacco, i soci mi aspettano, poi si riparte e mi stacco di nuovo e via così per una mezz’ora.
Raggiungiamo l’ennesima forcella lagoraiana, la forcella dei Pieroni, sono stanco, ho mal di stomaco e faccio fatica a ingurgitare la barretta di cui avrei tanto bisogno ed inizio a dubitare di riuscire ad arrivare in fondo.
Decido di staccarmi definitivamente da Simone e Andrea per procedere con passo più tranquillo fino al Manghen, la scelta è azzeccata: mi riposo, riesco a mangiare e le gambe tornano a girare. Mi vedono in lontananza, mi aspettano e raggiungiamo insieme la forcella Buse dell’Or.
Poco dopo la vista del lago delle Stellune ci fa credere di essere già al Manghen ma la realtà è ben diversa - come spesso accade quando desideri intensamente qualcosa - e ci ritroviamo seduti sulle panche della Manghen Hütte solamente dopo 1 ora e mezza o forse 2. Cochina in una mano e panino speck+formaggio nell’altra, le pile si ricaricano in fretta e iniziamo a fare due conti: per mezzanotte o forse prima siamo in Panarotta.
Scattiamo in piedi puntando verso il Rifugio Setteselle e finalmente sotto le nostre scarpe sentieri agevoli talvolta corribili. Le gambe di tutti e tre girano bene quando arriviamo al Passo dei Garofani, pochi minuti dopo già appare la sagoma del rifugio. Pausa, cochina numero 3 e fetta di strudel, è l’ora del crepuscolo.
Di nuovo in piedi, frontali in testa e spirito ancora buono quando ci incamminiamo verso Erdemolo, la strada per raggiungerlo sembra eterna, ma ad un certo punto la luce della frontale si riverbera nelle acque del lago. Alziamo la testa, davanti a noi la salita verso il Passo del Lago e all’orizzonte fulmini, non proprio due belle visioni.
Ultima salita di giornata verso un Gronlait avvolto nella nebbia e sferzato dal vento, la vernice bianca e rossa dei segnalini SAT fortunatamente continua ad apparire sotto la luce delle frontali rendendo la progressione abbastanza fluida. Arriviamo alla base del Fravort ed iniziamo ad aggirarlo seguendo un sentiero tanto facile quanto eterno, nel frattempo scocca la mezzanotte.
I fulmini si avvicinino ma mantengono ancora una distanza di sicurezza; in maniera più rapida invece, si avvicina il grande parcheggio della Panarotta, che ora si presenta nitidamente davanti ai nostri occhi. La smorfia di fatica lascia spazio ad un sorriso quando individuiamo la macchina di (San) Federico, che ci sta aspettando da più di un’ora. L’una di notte è scoccata da circa venti minuti quando facciamo di nuovo clic sugli orologi: sono passate esattamente 21 ore e 10 minuti dalla partenza al passo Rolle e la Translagorai è chiusa.
Ci siamo chiesti più di una volta “ma chi ce l’ha fatto fare?”, abbiamo riso e sparato cazzate, abbiamo anche fatto silenzio e avuto qualche momento di nervoso, poi più di una volta abbiamo tirato fuori energie che sembravano non esserci più. La Translagorai in modalità ultrarunning è stata un concentrato di tante cose, perché in fondo il bello di questo sport è proprio l’altalena di emozioni che ti regala, che se provassimo a rappresentarle probabilmente ne uscirebbe proprio il profilo altimetrico di questa giornata.