13/07/2024 Daniele Melchiori

Per chi vive la community di Run Trento, Translagorai è un po' come un rito di iniziazione. È quella cosa che nessuno ti obbliga a fare ma che tutti un po’ si aspettano che tu faccia.

Per me era l’obiettivo non dichiarato dell’anno ed insieme a Micky e Robi i miei coach di TRU avevamo impostato le varie gare in stagione per aumentare il chilometraggio e arrivare preparati.

Non avevo mai corso una gara così lunga e tecnica e soprattutto non avevo mai corso di notte ed il mix delle due cose mi spaventava un po'.

Ho sempre frequentato la montagna, ma non conosco bene il Lagorai, non so perché ma non ci sono mai stato troppe volte. Sapevo che dovevo andare dal Rolle alla Panarotta, ma non avevo bene idea di cosa ci stava in mezzo.

Le settimane prime della gara sono piuttosto impegnato, non ho tempo di imparare il tracciato. Non mi resta che affidarmi al GPS. “il Mosna” mi passa la traccia BUONA, quella sul sito dice che non sia quella che ottimizza i vari passaggi. Mi fido ma sabato mattina decido comunque di studiare un po’. Mi preparo un bigino con i passaggi fondamentali, punti ristoro, acqua etc. Le solite cose insomma. Faccio due conti sui vari segmenti e stimo che potrei farcela in 22h.

Verso le 2 esco recupero il Pass, le birre, il merch di run trento e ci dirigiamo in Panarotta.

Qui incontriamo un po’ di gente, molti non li conoscevo altri li avevo sentiti nominare. Lascio il furgone con le birrette in fresca per il giorno dopo. Insieme al Pass saliamo in macchina con Luca Carpino, che è appena arrivato da Pavia.

Nessuno di noi 3 aveva mai fatto la traversata, condividiamo le nostre strategie di gara. Luca era orientato ad un approccio la cammino tutta fino in Panarotta come consigliato da Roberto Donati durante il trail work. Pass proponeva un approccio conservativo fino al Manghen per poi dare tutto di lì in poi. Io ero solo determinato a portarla a casa.

Arrivati al Rolle mi accorgo subito che ho dimenticato le racchette in Panarotta, non mi agito troppo, ne farò a meno penso; Alberto Onia però è troppo gentile e me le presta.

Saluto un po’ di amici del TRC, mi preparo lo zainetto, mangio un po’ di pasta al pomodoro e mi bevo un pocket coffee. Ultime rifiniture con coach Robi che mi sistema la schiena con un po’ di arnica e poi foto di rito con lui e gli “atleti” di  trail running university /TRU). L’aria è fresca. Sono gasato, non vedo l’ora di partire.

Due parole del maestro di cerimonia Filippo Caon e qualche minuto dopo le 19 si parte. Mosna, Lauren e Ema dettano subito il ritmo e dopo poco sono già avanti. Io sono subito dietro, con Stefano, Andrea, Calle, Lorenzo, Dario, Sonaglia e Noor (una ragazza olandese)

Proseguiamo spediti e formiamo un gruppetto compatto e ci stacchiamo dagli inseguitori.

Al Bivacco Aldo Moro incontriamo il signor Giuseppe, che stava filmando con la GOPro. Poco sopra alcune ragazze che pernottavano li ci chiedono dove fossimo diretti. Scambiamo due batture e poi via.

Corriamo di fronte ad un tramonto infuocato, di quelli che ti avvolgono e catturano nel profondo. Il fondo è molto impegnativo e richiede sempre massima concentrazione. A me le pietraie son sempre piaciute, mi diverte proprio saltellare da un sasso all’altro cercando l’appoggio giusto.

La compagnia è top. Chiacchiero un po’ con tutti, si scherza ma si tiene un buon ritmo, vogliamo approfittare dell’ultima luce per portarci avanti.

Si fa buio e verso cima Cece accendiamo le frontali e mettiamo le ventine, è ventoso, e molto umido. Alle 23 eravamo al Paolo e Nicola 2 ore prima rispetto alle mie previsioni. Carico un pò d’acqua che il buon Enrico Scanavin ci aveva messo a disposizione e corro a raggiungere gli altri che invece avevano tirato dritto. Non voglio rimanere da solo di notte.

Si puntava il Cauriol per l’una. Continuiamo in gruppo ma perdiamo Lorenzo, che rimane un po’ indietro.

La discesa verso il Cauriol è insidiosa, e tutti facciamo qualche ruzzolone. Specialmente Calle, che non sta proprio in piedi e rompe pure le racchette. Noor procede sicura davanti a me, scambiamo qualche parola. Scopro che è Olandese è che aveva già completato la traversata in autonomia con un amica in Ottobre in meno di 22 ore. Bella tosta sta ragazza penso, soprattutto avendo in mente il piattume di Arnem, dove vive.

Come da programmi arriviamo al Cauriol in orario. Non vedevo l’ora di mangiarmi la minestrina che mi ero portato. Veloce cambio di maglia mentre Davide e Adele mi riempiono le flask e sistemano lo zaino. Non mi era mai capito di avere assistenza ad un ristoro. È una cosa che ti da carica, sapere che c’è gente li per te, ad aiutarti solo perché sono felici di farlo è bellissimo. Un motivo in più per fare bene. 10 minuti dopo (mentre arriva Lorenzo) si riparte. Filo mi incita, faccio 200 metri di corsa per raggiungere gli altri (e tirarmela un po’ 😉).

Dario e Noor, hanno fatto un ristoro veloce e sono più avanti. Io, Andrea, Calle e Stefano dietro. Li prendiamo poco sopra e continuiamo insieme.

A questo punto Stefano prende la testa del gruppo e tira tutta la notte. Sembra conoscere il Lagorai come le sue tasche, è determinato a fare bene e ci trascina tutti. Perdiamo la traccia qualche volta ma la ritroviamo subito. Quei maledetti segni bianchi e rossi giocano a nascondino tra i sassi, io gestisco male la frontale e alle 3 sono già in modalità risparmio. Un motivo in più per non staccarsi dal gruppo.

Salendo alla Letigosa, Andrea va in crisi e rimane indietro, proseguiamo in 5.

VS le 4:30 inizia l’alba e con la luce partono le prime coltellate. Stefano va via in progressione seguito da Noor che rimane però sempre all’orizzonte.

Io e Calle proviamo a restarle dietro, ma perdiamo un po di tempo al lago delle Stellune, indecisi se tagliare o fare il giro largo in quota, decidiamo per la seconda, anche se non era quello che la traccia del Mosna diceva.

Arriviamo al Manghen con qualche minuto di distacco, accolti dai ragazzi di run trento. Mat avvolto in una coperta che perdeva un sacco di piume suona il famoso campanaccio. Ci raggiunge anche Dario. Io cerco di trovare una soluzione per le vesciche che iniziavano a spaccarmi i piedi, Robi mi suggerisce un cambio di calze e scarpe e riparto per ultimo.

Filo mi insulta perché ho lo zaino pieno di roba inutile. “Dal Manghen si riparte leggeri” mi urla mentre mi inerpico sul sentiero e passo vicino alla bandiera del Colorado che i ragazzi avevano issato appena sopra il ristoro.

Comincia a fare caldo, rimango da solo e ho un po’ di calo di voglia di andare avanti. Perdo concentrazione e sbaglio strada un paio di volte.

Comincio allora a fare due conti e penso che possa ancora stare sotto le 20 ore. Mi ripiglio, mi mangio uno Snikers (uno dei tanti) e comincio di nuovo a martellare.

Poco prima del Sette Selle, becco Ema detonato. Prosegue lento, pare voglia portarla a casa anche se ha una brutta cera, mi sincero sia tutto ok e poi lo saluto. Veloce break al rifugio, i ragazzi mi danno una Coca Cola e qualche biscotto. Carico acqua alla fontana e riparto.

In cima alla salita per il Pizzo Alto, sopra lago Erdemolo ribecco Dario. I piedi mi fanno malissimo per le vesciche e faccio fatica a correre e soprattutto in discesa sono lentissimo. Peccato penso, le gambe giravano davvero bene oggi ma ste fottute coltellate ai piedi mi stanno rallentando.

Ci sproniamo a vicenda per l’obiettivo delle 20 ore, non penso ai piedi e andiamo via a passo spedito su terreno che diventa via via più “amico” e corribile.

Ultimo ostacolo tra noi e la Panarotta sembra essere il lungo traverso che passa sotto il Gronlait. Alla fine è un piacevole falsopiano in mezzo ai rododendri fioriti. Il sentiero è finalmente comodo. Mi godo il panorama, i colori, la tranquillità.

Dario mi trascina di corsa fino al Parcheggio in Panarotta. 19 ore e 25 minuti. Molto meglio di ogni mia più rosea previsione. Ma soprattutto nessuna crisi, nessun problema, tutto è andato bene, è stato un bel viaggio. Oggi non è stato necessario scomodare gli dei dell’ultrarunning.

Mi congratulo con Tommy, Stefano, Loren e Noor arrivati prima, ma soprattutto un forte abbraccio a Luchino Forti che ha piazzato il colpaccio e chiuso l’ Out&Back in meno di 48 ore.

Mi rilasso un po’,bevo qualche birretta, cerco di far mente locale, c’è un sovraccarico di emozioni da far decantare.

Guardo quel piccolo adesivo fluorescente e sono orgoglioso. L’ho portata a casa. E tanto basta. Fine

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