Translagorai Classic

15/07/2023 Roberto De Gasperi

Il pomeriggio inizia al Parcheggio della Panarotta: ne ho approfittato per organizzare uno shooting con Yle per il mio nuovo progetto di coaching, che partirà a breve. Dopo aver scattato foto su sentieri belli arriviamo alla Bassa, becco Raffa, mi dice che Enrico Scanavin sta arrivando, ha male ai piedi ed è cotto, non ripartirà per il suo tentativo Translagorai Out & Back.

Torniamo alla partenza, saluto un po' di persone ma ho voglia di starmene per i fatti miei come spesso accade, non sono agitato ma non vedo l’ora di partire.

Filo parla contro luce, vicino a lui Mat, Pass, Micky, Zambo e Noah: gli altri (corridori e non) erano schierati dietro l’arco di legno.

Dietro Filo e gli altri, seduto sull’asfalto del parcheggio, da solo, vicino a una macchina, c’è Enrico, è solo e si sta scolando una birra: lo osservo spesso, mi chiedo cosa stia pensando in quel momento, forse si è reso conto di quanto l’unione faccia la forza, che il Lagorai non lo puoi attraversare da solo, la sua faccia sembrava dire quello; farò tesoro della sua esperienza.

Si parte e subito ne approfitto per fare quelle cose che nelle gare non si possono fare, tipo prendere il braccio di Jacopino e braccarlo; si forma subito un bel drappello con Tom davanti a fare un buon ritmo, Jacopino, Mattia Depaoli, Mirko Cocco, io e Alberto Ferretto, un po' dietro Fabio il baffo, un falegname di Varese, mentre Daniele ci accompagnava per fare delle riprese.

Mi defilo di due-tre metri per parlare del più e del meno con Alberto, che mi chiede :“chi è quello la con la maglia nera?” con un sorriso malizioso gli rispondo: “ehh, lui è Jacopino, ha vinto Urma quest’anno ma non gliene frega niente delle gare, corre e basta”: fine delle presentazioni perché gli altri li conosceva già.

Sotto forcella fravort Jaco, Tom, Mirko, Alberto e Mattia spingono, io non mi faccio prendere dall’entusiasmo e vado “sereno” con Fabio il baffo fino al Sette Selle accompagnati da un tramonto da film a fil di cresta tra forcella Fravort e Forcella del lago.

Scambio due chiacchiere con lui e capisco subito che si trova nel posto giusto, che è qui perché ama la montagna e non è il classico esaltato; non avevo ancora capito se a livello di ritmo potevamo stare insieme oppure no.

Al sette selle, riempio le flask con la mia sport drink di Emelie Fosberg e vedo Lauren insieme ad altre 4-5 persone, figo beccarlo, ripartiamo e mi convinco di poter correre TL con un amico; gli dico che siamo arrivati al Sette Selle mezz’ora in anticipo rispetto al mio tempo impiegato 2 anni fa, lui abbassa i toni e sussurando mi dice: “no, sta dirme zerte robe”. Stavo andando forte e anche lui, sapevo che stava bene ed era in forma, mi ha pure raccolto un twix che avevo perso dallo zaino!

Dopo cima Palù vedo che le gambe iniziano a girare e dietro di me iniziano tutti a defilarsi, speravo che Lauren riuscisse a starmi dietro ma probabilmente avevo messo il piede sull’acceleratore: forse volevo stare da solo, forse mi ero convinto di prendere gli altri o forse non vedevo l’ora di arrivare al Manghen e vedere i miei amici far festa al ristoro.

Al passo ci sono lucine ovunque, per terra e sulle teste di tutti, erano presi benissimo e lo ero anche io, anche se non riuscivo a vedere bene per via delle frontali, poi di colpo vedo Alberto fermo al mio fianco che mi osserva: divento più serio, lo guardo e gli chiedo: “we Albi tutto ok, che ci fai qui?”

“ti aspettavo, così facciamo la notte insieme!!!”.

In quell’istante tutti i miei piani di divertirmi e prendermela bene sono saltati per aria, visto che un 14h10 a Lut ti aveva appena chiesto di fargli compagnia durante la notte, ma soprattutto visto che due anni fa durante TL ti aveva dato una coltellata all’alba sulla salita che dal Cauriol sale alla forcella Canzenagol, aprendomi una crisi senza fine. Improvvisamente il tempo era tornato indietro e per un attimo ho pensato alle sofferenze di due anni fa, dove le piaghe presero il controllo dei miei piedi e l’unico modo per trascinarmi al Rolle fu camminare all’indietro o appoggiarmi completamente ai bastoncini.

Non potevo dirgli di no, non potevo rifiutare questo invito, avevo due anni in più, conoscevo meglio il percorso: sono bastati 20” per convincermi che avrei potuto tenere il suo ritmo, che la notte insieme a lui mi avrebbe aiutato; riparto un po' intimorito ma deciso. Iniziamo a fare un buon passo, ci rendiamo conto che Mattia Depaoli, che stava tra me e lui, aveva sbagliato strada perché non era Manghen nessuno lo aveva visto.

Senza grandi dubbi sul percorso infiliamo una forcella dietro l’altra senza sbagliare mai strada, questo grazie al mio super road book artigianale, un foglio di carta con un elenco ordinato di passi, bivacchi e forcelle: lo ho usato poco ma è stato essenziale.

Della notte oltre alle chiacchiere con Albi, le immagini che ricordo di più sono quelle delle due frontali che vedavamo in lontananza, come delle stelle, sempre sulla forcella successiva, ci dava morale perché sapevamo che i tre non erano lontani, è andata avanti cosi per qualche bella ora, anche se in realtà di frontali ne vedevamo due.

Lungo la discesa per passo Sadole raggiungiamo una luce: è Mirko Cocco, ha nausea e non sembra stare bene, gli chiediamo come sta ma non vuole seguire il nostro passo; davanti ci sono solo Tom e Jacopino, gaso Alberto, mando un audio alla chat del TRC dicendo: “la caccia è aperta, andiamo a prendere quei due mocciosetti”; c’è sempre un FKT in ballo, l’FKT più ambito d’Italia: balliamo.

Amo questa forma di competizione, mi piace perché è sana, tra amici, si scherza ma nemmeno troppo, è come quando da ragazzino si facevano le gare in bicicletta per le vie del paese o dentro i giardini pubblici, si faceva sempre a sportellate, ci riempivano di botte e graffi, ma alla fine nessuno si lamentava e ci si divertiva; in gara, invece è diverso, le persone sono tutte nuove e un piazzamento vale come un altro.

Giunti in prossimità del Rif. Cauriol vediamo due luci, eccoli, li stavamo annusando, sono Tom e Jerry, ci stanno vedendo e anche se vanno il doppio di me si stanno cacando sotto, che figata: avrei voluto mettergli ancora un po' più di pressione ma erano le 4 del mattino e gli ospiti del rifugio non avrebbero gradito.

L’ambiente al ristoro del Cauriol era silenzioso e teso da parte dei ragazzi in assistenza, io ero carico come una molla e Albi, come diceva Filo “sembrava seduto sul divano”.

Mi sembrava di essere protagonista in prima persona di una scena di quei ristori delle grandi gare, tipo UTMB, dove ci sono amici che ti riempiono le flasks e ti danno da mangiare, e che vivono l’evento intensamente come stai facendo te: volevano spettacolo, e noi in qualche modo lo stavamo dando.

Ormai ero dentro e non potevo tirarmi indietro, stavo bene e ci credevamo: abbiamo spinto forte su quella dannata salita che un mese fa avevo sistemato durante il Trail Work e non vedevo l’ora di apprezzarne i risultati: peccato che le pioggie degli scorsi giorni avevano fatto crescere l’erba e il sentiero a momenti non si vedeva.

Sapevo che quella salita sarebbe stata un crocevia, Albi stava spingendo, io sotto di uno/due tornanti riuscivo con fatica a tenerlo vicino: speravo che non mi tirasse una coltellata, ma questa volta sentivo che ce la potevo fare: arrivati a forcella Canzenagol, Alberto mi condivide una riflessione logica:

 “ho pensato che quello che stiamo facendo non ha molto senso”.

Questa è stata la cosa più saggia che ha detto durante il viaggio; ci stavamo facendo del male da soli, io tra poche settimane avrei avuto Swiss Alps 100miglia in Svizzera e lui, che ha deciso di fare TL giovedì sta macinando km su km da settimane in vista di UTMB: quella sbregata da lì a qualche passo si è pure rivelata inutile, visto che, ai primi chiarori, giù verso il lago delle Trute dei “mocciosetti” non c’era nemmeno l’ombra. Avevano spinto come dei matti come noi su quella salita, come due fratellini che venivano rincorsi dai loro genitori.

Ci metto un po' a riprendermi da quello sforzo, più o meno fino al bivacco Paolo e Nicola, dove riempiamo le flasks con dell’acqua dentro una bottiglia di vino e senza tanti indugi salutiamo il Metti di URMA che era l’unico sveglio a quell’ora.

La salita verso cima Cece è tremenda e infame, più guadagni quota più diventa ripida, si conclude con una sorta di Col del Malatrà del Tor, 20metri di terra e sassolini infami e ripidissimi. Scolliniamo, raggiungiamo forcella Cece e dico ad Albi che sarà ancora molto lunga, che da lì in poi avremmo visto solo massi e placche di porfido e che per un po' non avremmo corso; cerchiamo di tenere un buon passo senza farci del male e controllando quei maledetti segnavia che sembravano giocare a nascondino contro di noi.

Al bivacco Aldo Moro, riusciamo a intravedere la forcella Ceremana, è la fine di quella infinita sassara, Alberto si era un po' stufato ma io conoscendo bene non mi lascio condizionare e rimango sereno, nei pressi della forcella mi rendo conto che avremmo potuto chiuderla sotto le 16h, cosa a cui sinceramente non speravo affatto.

Al passo Colbricon, poco sotto la forcella Ceremana, incontriamo Michele Fagnoni: ci chiede se vogliamo qualcosa da bere e ci dice di spingere, che Jacopino era arrivato ma Tom è morto ed è ad un paio di minuti: questa storia di Tom che non sembrava al top l’ho sentita già al Cauriol, ma non ci ho mai creduto: Tom è un atleta fortissimo che vive a Trento, di nazionalità olandese; è alla sua prima esperienza in un ultra, quest’estate ha deciso di dedicarsi a progetti sportivi personali e eventi come questi, lontano dalle gare ma vicino a esperienze come quella che stavamo tutti vivendo.

Senza nemmeno parlarci io e Albi iniziamo la discesa finale verso i laghi di Colbricon come se stessimo correndo la Dolomites Sky Race, avevamo solo voglia di correre, o forse di rompere le palla a Tom; vedo Giulio Repetto in piedi su una roccia che stava salendo in senso opposto verso il passo; pensavo di farmi una pizza al Rolle con Albi, Tom e Jaco al Rolle ma mi ero dimenticato di lui e Cate, che si sono messi a far da mangiare cose molte buone al parcheggio dell’arrivo: erano venuti apposta da Padova per mettersi a disposizione di noi corridori e farci da mangiare, senza chiedere nulla in cambio: la voglia di pizza se ne era subito andata via.

Arriviamo a 10metri dal lago e scorgiamo Tom a un minuto davanti a noi, non volevo superarlo, anche se lo avessimo raggiunto lo avrei fatto stare davanti, perché è un amico, corre forte e non avrebbe avuto senso dargli questa mazzata; decido di incitarlo, più per fargli venire paura che per dargli forza, scherzo con Albi che nel frattempo avevamo deciso di non prenderci a coltellate a vicenda, e gli dico che il ragazzo se la doveva sudare fino all’ultimo metro questa traversata.

Ai laghi mi sentivo benissimo, correvo veloce, ero felice, attraversiamo la strada che porta al parcheggio e facendo slalom tra le macchine arriviamo mano nella mano: 15h20’, sei ore e mezza in meno di due anni fa.

Il perfido porfido del Lagorai era diventato un amico con cui confidarti, mi ha insegnato che le cose si dovevano rispettare e che bisogna togliere le cose superflue, proprio come lui, che per essere belli non serve avere gli aghetti delle Odle o i campanili del Brenta.

La traversata unisce e lega, forma nuove amicizie, un gruppo di persone che mi fanno sentire a casa ogni volta che sono con loro, che condividono la stessa passione, che ti fanno apprezzare il valore dello stare dall’altra parte, come accompagnatore e come trail worker, seguendo il decorso naturale delle cose.

Jacopino è uno dei ragazzi del TRC che ho conosciuto più di recente: ha il viso di un quindicenne, ma con qualche anno in più che non dimostra: beve, fa su ogni tant e corre: ha talento ma non gliene frega un cazzo, potrebbe annoiarci parlando delle gare che vincerebbe ma non gliene frega un cazzo, potrebbe parlare delle dinamiche di un team ma non gliene frega un cazzo; lui corre e basta: in trentino, un tipo così lo puoi definire Revèrs, e proprio lui ora, l’FKT Translagorai Reverse ed è figo così, anche se lo prendo per il culo dicendogli di andare a far gare, spero rimanga sempre così, che corra solo per correre, come fa il suo granny, Lauren.

Mi rilasso un po', tutto è andato bene, non ho avuto crisi e sto bene, sono dove voglio stare, non ho bisogno di altro, a volte non penso di meritarmi tutto questo, quello che sta accadendo a Trento un po' mi commuove.

Arrivano un pò tutti ma non ho tanta voglia di parlare, vedo gli arrivi, bevo un paio di birre.

Noah che anche questa volta era morto 10-12 volte finisce la sua prima TL, gli racconto che continuavamo a vedere Tom e Jaco sempre la forcella successiva, lui si gira verso di me e mi risponde con il suo accento americano: “ehmmm, cosa sono questa forcella?”. Fine.

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