Translagorai Classic

16/07/2022 Alessandro Libardi

Alessandro Libardi - 21:54

 

Tutto perfetto tutto fuori scala.
Inizio dal commento finale e adesso cercherò di sintetizzare (sarà impossibile) qualcosa che è realmente difficile da descrivere.

Dopo il tentativo dell’anno scorso dovevamo (Io, il Grisa e il Mauri) riprovarci e questa volta con Aba, ma infortuni e impegni di lavoro hanno mandato tutto all’aria facendomi rimanere da solo alla partenza (almeno sulla carta). In realtà fra assistenza e compagni di viaggio ho fatto la traversata per molti tratti sempre con qualcuno al fianco o almeno a vista e sapendo che dietro ci sarebbero stati Claudia e Michele.

Si parte dal Rolle con i ragazzi di Trento Running Club che si dimostrano dei padroni di casa magnifici e che imprimono a tutti la loro voglia di esserci e trasmettere messaggi al di fuori dei social.

Pronti attenti via. Dopo 10 minuti mi accorgo di aver con me la custodia del cellulare e non il cellulare (non fatelo). Al mio fianco c’è Raffaele con il quale avevamo un accordo di restare uniti (nel possibile) la notte, chiedo a lui il telefono per avvertire mia moglie, che mi farà trovare il cellulare al Cauriol dall’ onnipresente Dega. Con Raffaele si va via bene a chiacchiere e bastoncini con spiegazioni geografiche che durano fino al durar della luce. Senza accorgersi il primo strappo verso L’Aldo Moro lo mettiamo in saccoccia. All’orizzonte (o almeno sembrava) si sentono dei tuoni, in pochi minuti arrivano sopra la nostra testa e la pioggia si trasforma in grandine. Assieme ad Alessio (un ragazzo di Milano) ci schiacciamo sulla parete verticale di un masso enorme ma questo non evita comunque di prendersela tutta. Appena spiove ci muoviamo, ma dentro 30 cm di acqua e grandine. Dopo breve e dopo un’ennesima forcella si aggrega a noi Francesco (Ciccio) anche lui di Milano e che avevo già incontrato l’anno scorso e conosciuto ad URMA.
Si va avanti cercando i segni bianchi e rossi sulle pietre fra banchi di nebbia e qualche chiacchiera. Arriviamo poi al Paolo e Nicola: prima tappa conclusa.

Da qui il percorso si fa decisamente più comodo e veloce fino alle salite che portano alle forcelle di Caldosè, Caldinon e Canzenagol. Dopo quest’ultima forcella inizia quella che nel Road Book ufficiale è descritto magistralmente: lunga discesa tecnica e fangosa. In questo tratto il gruppo si compatta con altre 7/8 persone e fra queste scambio due parole con Simone che avrò modo di conoscere meglio più avanti.

Siamo arrivati al Cauriol un po’ prima delle 2:00 (in anticipo di 10 minuti sulla mia ipotetica tabella) dove le luci del rifugio l’abbraccio di Filo, il cinque di Daniele e la tranquillità del Dega ci accolgono al meglio. Inizio a sentire un po’ freddo e stupidamente non mangio quasi nulla, rimango in piedi e decido di ripartire. Chiedo a Raffaele cosa pensa di fare ma mi dice che aspetta un po’ e quindi parto da solo con 3 frontali un po’ più avanti. In breve, lungo la morbida forestale, mi raggiunge un ragazzo con un passo decisamente rapido, riesco a riportarlo un paio di volte lungo la traccia giusta, cosa che non riesco a fare con le 3 frontali alle quali con fischi e urla quantomeno riusciamo a far capire che stavano sbagliando direzione. Inizia il “tratto Litegosa” che le luci della luna fanno sembrare il tutto che circonda enorme e ti fanno sentire minuscolo e insignificante. Sono circa al 30º e mi sento stanco e vuoto, la scelta di non mangiare
Al Cauriol si rileva una minchiata. Decido di sedermi su un sasso e godermi le prime luci dell’alba. Mi raggiunge Ciccio che mi regala una perla che mi salva la giornata: “mangia”. Semplice, e lo faccio. Si aggregano a me Simone e Giulia, lei decisamente sconfortata e provata dal tipo di percorso non proprio fra i suoi preferiti. Piano piano mi riesco a riprendere grazie anche a dei traversi più comodi che ci portano fin sopra al lago Lagorai. Scendiamo e poi risaliamo fino alla Forcella dei Laghetti cercando di non forzare il passo e di convincere Giulia a non ritirarsi (si riterrà invece al Manghen). Dopo la Busa dei Laghetti mi sento veramente bene, aumento il ritmo e lascio la compagnia di Giulia e Simone arrivando presto al Lago delle Stelune (dove l’anno prima avevamo decretato il DNF). Il sole inizia a scaldare e sento profumo di Manghen, passo forcella Montalon ancora stando bene ma i 3 su e giù successivi che portano fino al lago delle Buse mi assestano un duro colpo al morale. Incontro Aba Sara e Argo lungo la strada che inconsciamente mi aiutano, avevo voglia di volti amici. In qualche modo arrivo al Manghen dove le grida della Crew mi fanno salire le lacrime che cerco in qualche modo di smorzare.

Avevo ipotizzato di arrivare al Manghen alle 9:45, sono le 9:44 e partono gli insulti di chi mi conosce bene. Gli insulti si trasformano in un brodino caldo del te e delle fette biscottate, il cambio d’abito cancella l’idea offuscata di un possibile ritiro e parto dopo 40 minuti sereno e carico sapendo che a breve mi avrebbe raggiunto Tommaso Mosna e che i ragazzi di URMA ci aspettavano al Manganetti. Mi fermo con loro mangiando pane e nutella, rubo qualche albicocca, saluto ringrazio (non bastano mai i ringraziamenti per questi fottuti bravi ragazzi) e riparto con molta calma. Sotto cima Fornace mi raggiunge nuovamente Tommaso in compagnia di Jacopo, li lascio andare e mi accontento del mio passo, so che devo ancora resuscitare completamente. Quasi a passo Cadin vedo Simone in lontananza che era già stato superato dagli altri due. Il vederlo mi ricarica e visto che lui corricchiava, lo faccio anch’io. Il lungo traverso fino al Passo Cagnon viene praticamente mangiato e riesco a raggiungere Simone. Mi metto davanti e cerco di andare via deciso e soprattutto costante. Anche la distanza con Tommaso e Jacopo si è ridotta, ma ne hanno sicuramente di più. Le salite iniziano ad essere più simpatiche delle discese e passata Cima Palù, Passa Palù e Passo Garofani mi trascino fino al 7 Selle.

Al rifugio ritrovo Tommaso e Jacopo con i piedi nella fontana, scopro che al rifugio c’è da mangiare gratis per tutti noi, grazie, ma non ne approfitto. Sento che è meglio avviarsi piano piano, saluto i ragazzi con la sicurezza di rivederli dopo qualche km e parto. Anche il tratto fino al Lago di Erdemolo diventa lunghissimo e provante e appena prima del lago mi ritrovo in compagnia di Tommaso Jacopo e Simone. Tommaso prende il comando e grazie alla sua lucidità mi evita di controllare il GPS e saliamo fino al Passo del Lago. Da qui un crinale fantastico ci conduce al Passo della Portela. Simone è molto stanco io mi sento vicino al traguardo e prendo il passo degli altri due e iniziamo a correre lungo i prati e le tagliafuoco. Sembra impossibile ma riusciamo a tirare fuori delle risorse che dopo 21 ore non capisco dove si erano nascoste. Jacopo scherza invocando un estintore per le cosce ma non molliamo, riusciamo a correre anche brevi tratti in salita e la vista del Rifugio Eterle, le grida di chi aspettava al parcheggio ci fanno fare letteralmente una volata a gambe alte. Passiamo sotto il portale di legno home Made e siamo e sono finisher di un sogno che ho sempre cullato.

21ore55minuti 75km e 4.900 D+ circa

Il Lagorai ha comunque vinto e vincerà sempre. Il suo essere fuori scala in tutto fa si che non potrà mai essere spiegato e interpretato ma ne vale la pena provarci. Non c’è modo di allenarlo. Qualche umile consiglio per chi vorrà tentare l’impresa: studiate benissimo il tracciato, la morfologia, i nomi e spezzetate tutto in micro obiettivi, questo è forse l’unico modo modo di controllare il fuori scala. Ovviamente avere qualcuno che fa assistenza aiuta tantissimo e quindi grazie a Deb, Grisa, Mauri, Eli, Sara, Aba, Argo e soprattutto a Marika.

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