Translagorai Classic

16/07/2022 Nicola Furlan

Nicola Furlan - 22:59

La Translagorai tutta d’un fiato provano a (per)correrla quelli bravi e i folli incoscienti. L’idea di provarci per
una seconda volta matura e si concretizza sotto un ombrellone, con un giro di messaggi che mi mettono in
contatto con il “comandante maximo” Tommaso, lui è il gancio che mi permette di non aver scuse: si va. Al
ritrovo di Civezzano le facce note aumentano: c’è il grande Franzoi, conosco Cello, si sale al Rolle con
chiacchiere, risate e qualche sosta per gli eccessi di idratazione. Alla partenza il solito immancabile senso di
inadeguatezza e di non esser al posto giusto. Che poi, io, una partenza di sera non l’ho mai affrontata e
“correre” di notte si fa solo le fredde mattine in inverno. E poi dopo una notte no-stop il giorno seguente
che succede? Ma il clima è di assoluto piacere, gente, cani, furgoni, risate, cappellini, barbe, uno con le
Five-Fingers (si, giuro). Alle 19.00 dopo le parole spontanee e un dettagliato bollettino meteo di Filo si
parte. Come sempre di “troppo cuore”, infatti, quella macchia fluorescente del Franzoi è solo qualche
centinaio di metri davanti. Inizia la salita a forcella Colbricon e mi trovo in coda a due ragazzi e una ragazza
che diventeranno “i Toscani” per grandissima parte della traversata. Si chiacchiera piacevolmente con Letizia
(che per me é stata Vittoria fino a poco meno di mezz'ora dall’arrivo), Vittorio (che non avevo capito si
chiamasse cosí) e Simone (del cui nome ancora oggi non son certo). Poco piú avanti la macchia fluorescente
rimpicciolisce fino a sparire tra i massi e le pietraie, ci ricompattiamo con Tommaso e Cello e con morale
alto si procede. Poco dopo il bivacco Aldo Moro qualche timida gocciolina, il tempo di indossare le giacche e
ci troviamo in mezzo ad acqua e grandine. Tardi per ripararsi al bivacco, la grandine si accumula e rivoli
d’acqua scorrono sui sassi mentre pian piano il temporale passa e ci lascia nel buio fradici. Qualche
momento di incertezza sul percorso, la temperatura però non è bassa, avanti di buon passo raggiungendo o
facendoci raggiungere talvolta da altri partecipanti. Poco prima della discesa (malefica) al rifugio Cauriol ci
raggiunge Giulia (scopriró successivamente il nome) che ci racconta di come abbia iniziato a correre e quali
cose mirabolanti abbia fatto. Un vero personaggio! Tommaso, che fino a lí ci ha guidato trovando nel buio
sempre dei riferimenti su quanto potesse mancare, allunga il passo lasciando me e Giulia in balia della
viscida discesa. La luce del Cauriol è fissa lì in fondo a quella discesa che non finisce mai. Una curva, un
dosso, rami, radici, erba alta, uno scivolone, imprecazioni e ancora la luce lì in fondo. Ore 2.00 esatte e il
Cauriol ci accoglie: le sette ore previste sono state rispettate e questo aiuta il morale. Ma piú del tempo
rispettato a dar forza è il ristoro, i sorrisi, le parole. Filo che ti chiede come vada e si stupisce di un “Tutto
bene, grazie”, perché grandine e pietraie potrebbero non aver fatto si che sia andato tutto bene. Trovare il
Cauriol aperto è un toccasana, mi asciugo, mi cambio, Tommaso c’è, Cello ha bisogno di due parole di carica
e un piatto di orzetto; dopo ben quaranta minuti di pausa si riparte. Ancora qualche piccola incertezza per
passo Sadole (il comandante maximo si avventura tra la bassa vegetazione alla ricerca di quella traccia che
Vaia ha cancellato e lui intende ripristinare!), ritroviamo “i toscani” e poi via per i traversi erbosi fino a
forcella Litegosa, una visita al bivacco Teatin, avanti ancora e la luce dell’alba ci guida. Inizio ad accusare
stanchezza, mangio e bevo frequentemente, ho bisogno di qualche pausa. Scopro che con noi c’è Jacopo, un
simpatico ragazzo che saltella da una pietra all’altra con gran dimestichezza e una handy-cam. Scopro Jacopo
ma anche che Simone (uno dei tre toscani) è rimasto indietro, non sta molto bene, una caviglia gli da dei
problemi e la notte non l’ha passata proprio nel migliore dei modi. Le forcelle e i laghi si alternano, i loro
nomi si improvvisano, le distanze e i tempi si sparano. E’ cosí che di passo in passo, incontrando anche due
“tifosi” alle Buse de l’Or e poi piú in lá arriviamo in prossimitá del lago delle Stellune. Qui è necessario
fermarsi e raccontare che i concetti di spazio e di tempo non rispondono alle leggi della fisica classica nel
percorso Lago delle Stellune – Passo del Maghen. Le indicazioni SAT riportano un tempo, dimezzabile
secondo alcune credenze, riducibile a quarantacinque minuti secondo altre e definito in venti minuti
secondo altre ancora. Il nostro comandante maximo probabilmente segue una scuola di pensiero (o forse
una setta) ancora diversa quindi il numero di minuti sparato in prossimità del lago non lo ricordo. Cose
strane in questa parte di percorso ne accadono. E’ proprio qui che Simone (il toscano rimasto indietro)
appare alle nostre spalle correndo come un dannato a velocità supersonica incitando tutto il gruppo a
seguirlo. Letteralmente resuscitato lo vedo scomparire davanti a tutti e penso che non lo rivedró mai piú. Io
mi convinco che manchi poco al Manghen: un grosso errore. Passato da poco il lago mi aspetto in una
manciata di minuti di incontrare quel grand’uomo del Treppo, partito dal passo per venirci incontro
portando allegria (che comunque non mancava), coca cola e banane. Una curva, un dosso, sentiero, un
dosso, ancora un dosso e poi una curva. No, nessun Treppo. Abbiamo lasciato il Cauriol da piú di sette ore,
non può volerci molto ancora. E invece no, avanti. Rimango indietro rispetto al gruppo, inizio a essere un po’
in difficoltà e fa caldo. Qualche centinaio di metri davanti a me Cello incrocia un tizio, gli parla, riceve una
banana: ecco il Treppo! Penso che si sia avviato tardi dal passo e quindi abbia fatto poca strada, mi aspetto
di camminare pochi minuti, bevo la coca cola, lo saluto e ringrazio, camminiamo insieme. Chiacchierare mi
allevia il dolore ai piedi che da qualche ora inizia a farsi meno sopportabile. Chiacchieriamo e camminiamo e
mai sto passo del Manghen appare all'orizzonte. E’ infinito questo pezzo e comincio a pensare che forse mi
fermo, non continuo. Lo penso tanto intensamente che il Treppo in quell’esatto istante tira fuori quattro
parole per farmi capire che non c’è da mollare. Arrivo al passo del Manghen alle 10.30. Mi fermo al bar, ci
sono i toscani, Cello e qualche altro. Ignoro che ci sia il ristoro al passo, ordino un panino e della coca cola,
cambio completo, sistemo lo zaino. Tommaso dal passo sbraccia e a gesti ci chiede cosa intendiamo fare.
Noi a bocca piena e a “gesti dell’ombrello” gli diciamo che prima finiamo i panini. Scompare dal nostro
panorama il comandante maximo che fino a quel momento ci ha trainato da vero leader motivandoci e
ingannandoci amabilmente su tempi e distanze. I toscani partono. Io e Cello ci sistemiamo e ci accordiamo
per un ultimo terzo di percorso in combinata: partenza pochi minuti dopo le 11.00. Il ristoro URMA al
Mangheneti è ciò che piú ti fa venir voglia di mollare tutto e stare lì con loro. Anzi, quasi rimpiangi di aver
scelto di percorrere tutta quella strada anziché bivaccare una notte e un giorno per allestire il ristoro.
Ritroviamo i toscani al Mangheneti, ricompattiamo il gruppo e via di nuovo insieme. Quest’ultima parte mi è
familiare: la sagoma del Monte Croce, il percorso che lo costeggia, busa di Fregasoga, via in direzione Malga
Cagnon che lasciamo più in basso. Riperdiamo i toscani e raggiungiamo Italo: poche parole, barba nera. A
Passo Cagnon “è quasi casa, è quasi amore…” ipotizzo dei tempi verso passo Palú, Passo dei Garofani,
Rifugio Sette Selle. Tempi rispettati che ci fanno tenere ancora il morale alto. Due e un quarto siamo al
rifugio e riuscire a stare nelle ventiquattro ore ormai è più che probabile. In questa parte e nel successivo
pezzo verso il lago Erdemolo incontriamo molta gente. Chi fa il tifo, chi ci chiede cosa sia questa “gara”. Dal
lago inizia l’ultima salita fino al passo, l’ennesimo prima del prossimo e finale: passo della Portela da cui ci
lanciamo (o forse ci piacerebbe lanciarci) verso l’omonima valle. Arrivati in fondo la traccia è meno chiara,
siamo in gruppo, tentiamo diverse soluzioni interrogando telefoni, orologi, passanti e locals. Tutti con
opinioni diverse rispetto al da farsi. Ci sono minuti (forse qualche decina) di confusione e indecisione. Alla
fine grazie a Letizia (a questo punto aveva già cambiato nome, assumendo quello ufficiale) che si mette al
comando e a Martina che ci viene incontro, arriviamo in prossimità del rifugio Erterle. Corriamo forse senza
accorgerci e in tre passiamo sotto il “traguardo” di Translagorai Classic dopo 23 ore di “allegro gironzolare”.
Ecco i toscani, arrivati pochi minuti prima di noi, ecco Tommaso che scalzo ci accoglie, lí il Franzoi giá con la
T-shirt “Translagorai” acquistata (come me) perché non aveva un cambio all’arrivo e trovare un
passaggio per il rientro sarebbe stato impossibile. Non è vero, la T-shirt l’avremmo comprata comunque.
Foto di rito, battute, chiacchiere, birre e in tutto questo la stanchezza ancora non si fa sentire, non sento la
mancanza delle ore di sonno. I piedi doloranti con qualche vescica fortunatamente chiusa. Ci godiamo
questi momenti in attesa dell’ora che sancirà lo scadere delle ventiquattro ore, poi la celebrazione e
consegna degli adesivi. E’ fatta.
Grazie a Cello con cui abbiamo condiviso tutta la traversata, Grazie a Tommaso “comandante maximo” per
aver dato il “LA” a questa mia avventura ed esser stato fondamentale con le indicazioni di percorso (l’ironia
delle righe precedenti spero sia stata colta) per i primi due terzi. Grazie ai Toscani, a Jacopo e alla sua
handy-cam per esserci stati in tanti momenti, a Italo e Martina per l’ultima parte. A tutti quelli che si sono
prodigati in diversi modi: a Treppo per la compagnia nel momento probabilmente piú difficile, al Franzoi e al
Renato per la compagnia verso il Rolle (a proposito, Renato ma sotto la grandine come te la sei cavata??), a
Tommaso del Cauriol, ai ragazzi di URMA, ai gestori del rifugio Sette Selle. E grazie anche al tizio con le
Five-Fingers che si è meritato il premio finale.
I numeri lasciano il tempo che trovano: poco più di 77km, circa 4800m D+, 23 ore. Ma la Translagorai non è
fatta di numeri, è fatta di sassi, pietraie, traversi, pioggia, caldo, bivacchi, rifugi, Ristori, forcelle, laghetti,
persone, parole, sorrisi, stupore aiuti e pazzia.
Arrivare in fondo ha (forse) fugato quei dubbi che mi frullavano in testa nei minuti prima della partenza, mi
ha fatto capire che anche quelli bravi che affrontano questa avventura hanno una buona dose di follia e
incoscienza. Quello che ancora rimane un mistero è che cosa abbia combinato Simone prima di raggiungerci
al lago delle Stellune a quella velocità. Chissà se sarà necessaria un’altra traversata (in senso opposto
magari) per farselo raccontare.

Grazie a Filo e a tutti i ragazzi di Translagorai Classic.

#58 Nicola

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