17/07/2021 Tommaso Mosna

DISCLAIMER: prolissa, delirante ed interminabile descrizione della + TRANSLAGORAI CLASSIC RUN + .
Translagorai Classic run:80 km 5100 + (dato totalmente irrilevante in quanto il dislivivello è una congiura dei poteri forti essendo la terra piatta!)
La squadriglia è così composta: il veterano zecca rossa Tommaso, lo sbirro di merda Max e il giovine Shaggy Alessandro privo però di Scooby Doo.
Ai nastri di partenza si presentano 3 arditi del popolo della allegra brigata Mario cane, col suddetto ingegnere a 4 zampe purtroppo assente causa smart barking (la connessione in lagorai purtroppo è eccessivamente deficitaria, nostante 2/3 della brigata abbiano completato il ciclo vaccinale e dotati in teoria di un 5 g costante).
Abbigliamento dei 3 eroi: Tommaso sfoggiava degli elegantissimi pantaloncini alla zuava frutto di bottino di guerriglia in Guinea Bissau, canotta della salute e capellino dei barbudos cubani.
Il conte max scarpette da running frutto di peculato, zainetto da 8 litri riempito come fosse da 16, e cappellino delle giovani marmotte.
Shaggy/ale calzava delle pedule da avvicinamento sfondate, pantaloncini con le pezze e un giubbetto in gorotex dono di una sua zia ricca, peraltro incontrata nei pressi del Cauriol.
Partenza ore 20.35 dalla Panorotta, sfruttando il fattore campo i nostri scelgono di aggirare basso il Fravort e spuntano in testa all'omonima forcella, conservando il vantaggio fino al Passo del Lago.
Vistisi poi superati, i 3 ingranano un ritmo forsennato di 5 km/h, che comporterebbe la chiusura del giro in 16 ore ma, nella realtà dei fatti, in grado di massacrarli già al Manghenetti.
Si correva a briglia sciolta, ma di sciolta non vi era solo la briglia, Ale infatti accusa la prima durissima (anzi mollissima) crisi, e si rifugia brevemente prima nell'oscurità e quindi nel caldo bivacco Manghenetti occupato da merenderos vicentini intenti a gozzovigliare con vino birra e gatti arrosto.
Bianco come un fantasma si trascina ectoplasmandosi fino al Manghen dove giungono poco prima delle 3.
Max felicemente scopriva una scorta omaggio di carbogel gentilmente donati dai primi ritiri, sostanza dalla quale è dipendente (attualmente è in cura al Sert)
Era quindi la volta di una nuova crisi, meno radicale, ma assai più duratura, questa volta di Tom. Crisi sfociata in stizza, acredine e financo minaccia a mano armata verso i volontari della SAT rei di aver posizionato delle indicazioni temporali riguardanti il Cauriol totalmente randomizzate.
Al rifugio finalmente una pausa (erano circa le 10) contrassegnata da cochine fresche, yogurt, panne cotte e innumerevoli cazzate riprese anche dal povero Albrisi.
Al rifugio vediamo qualcun altro giungere dopo di noi e bere la bevanda del ritiro (una birrazza media, beverina e luppolosa). Guardiamo il fresco liquido giallo con occhi sognanti e il pensiero di terminare le fatiche ci sfiora, ma dopo una buona ora decidiamo di rimetterci in marcia verso il Paolo e Nicola.
Tutti ci dicono che dal Cauriol mancano ancora 30 km all'arrivo, ma l'unica cosa che ci sprona ad andare avanti è la nostra testarda incapacità matematica e ci assicuriamo tra di noi che i km sono sicuramente di meno! (Invece saranno di più, ma lo avremmo scoperto più tardi a nostre spese)
Nella salita verso il paolo e nicola si alternano: clima tropicale afoso, nubi nere, pioggia, vento e poi sereno primaverile, il meteo dava i numeri, e anche noi non scherzavamo. Nell'interminabile traverso verso il bivacco P. & N. a Max venne l'idea che forse erano morti senza accorgersene su qualche forcella prima e che ora si trovavano all'inferno condannati a marciare su un sentiero che non aveva fine, dove ogni curva si ripeteva uguale a se stessa per l'eternità.
La speranza tornò quando avvistarono il tetto del bivacco da lontano (in realtà era un masso, ma il bivacco si trovava dietro). Rifocillati di Nutella, polenta e caffè veniamo a conoscenza che mancavano ancora 20 km all'arrivo e solo 5 ore per percorrerli. Decidiamo di seguire la nuova traccia proposta per aggirare a sud il sentiero ancora innevato.
Fiduciosi dei nostro calcoli empirici, che davano l'arrivo più vicino di quanto non fosse in realtà, partiamo con un passo incredibile con Max che tira la compagnia come se avesse le gambe leggere, ma di leggero aveva anche il cervello perché sbaglia strada e va a finire alla forcella paradiso (trascinando con sé altri 2 ignari partecipanti).
Nonostante la deviazione si mantiene alla testa del gruppetto convinto di dover tirare ancora pochi km.
Entra nella valle Miesnotta (la prima di 3-4 saliscendi importanti prima del Colbricon) carico come una molla e inizia a salire un 100 metri di dislivello, ma il sentiero è sbagliato.
Questo porta, dopo Ale e Tom, anche Max ad andare in crisi ed è una crisi psicotica gravissima, con attacchi di schizofrenia, visioni a sfondo mistico, perdita completa dell'uso delle facoltà intellettive, miraggi.
Ed intanto il tempo scorreva veloce.
I nostri eroi all'ultimissima forcella sbagliano di nuovo traccia e cominciano a scendere verso malga Ces, se ne accorgono quasi subito, ma l'impatto emotivo -psicologico di quest'ultima uscita dalla traccia è devastante.
Nel disagio psicopatologico generale proviamo anche a telefonare a Paco l'organizzatore per lamentarci della traccia.
In quel momento volevamo riversare su di lui (innocente ed ingnaro mentre si stava giustamente riposando al Rolle) tutto il nostro odio e livore per aver sbagliato sentiero molte volte a cosi poco dall'arrivo (in realtà, benché sia vero che la traccia del nuovo percorso a sud proposto per aggirare i sentieri ancora innevati sia mal segnalata, è altrettanto vero che essendo noi ridotti a larve umane avevamo perso ogni facoltà di ragionamento ed orientamento).
Mancavano solo 1 ora e 20 minuti allo scoccare del 24 ore e dalla forcella si vedevano finalmente i laghetti del Colbricon e il passo Rolle.
6 km, 100 metri di dislivello, 1 ora e 20 di tempo per percorrerli.
Eravamo arrivati così lontano, eravamo cosi vicini eppure la distanza ci sembrava siderale.
Come novelli Caronte nell'inferno di questa corsa, avevamo anche traghettato con noi, facendo da apri traccia in questo ultimo pezzo privo di cartelli ed indicazioni, uno sparuto gruppetto di anime perdute.
Ora tutti insieme avevamo preso ad intonare una triste cantilena, dandoci il tempo con il "tic tac" dei bastoncini sulle rocce e gli ansimi dei nostri polmoni sovraccaricati:
"Non ce la facciamo, basta è finita, non ce la facciamo a chiuderla nelle 24 ore, ci ritiriamo a malga Ces laggiù e ci facciamo venire a prendere lì."
Questi i pensieri e le parole che vennero pronunciate in quel momento.
Ma più delle parole contarono i fatti.
Tom, senza dire nulla, comincia a correre come fosse posseduto dallo spirito demoniaco di Usain Bolt, Max e Ale camminando lo osservano sparire dalla loro vista dicendosi l'un l'altro: "ma è ancora convinto di farcela? Non ha capito che è impossibile con il tempo che ci rimane? Ma dove crede di andare, scoppierà prima dell'arrivo! Non ce la farà, non ce la farà, non ce la farà…
forse non ce la farà, ma intanto andiamolo a prendere, quel bastardo!"
E così iniziò una corsa forsennata, assolutamente folle, impossibile dire da dove vennero reperite le forze per percorrere quegli ultimi chilometri (che poi scoprirono essere stati percorsi ad un incredibile velocità di 8 km/h, dopo 80 km di translagorai!)
I concitati momenti che seguirono rimarranno scolpiti nella memoria per sempre.
Al Colbricon Tom incontra per primo Sara (compagna di Max e autista di lungo corso, esperta raccattatrice di larve umane a fine corse) affermando che Ale e Max si sarebbero ritirati e ripartendo poi verso il Rolle.
Contrariamente alle previsioni di Tom i 2 sbucarono alle sue calcagna dopo soli 5 minuti e Max ebbe solo una parola da dire a Sara: "nonpossofermarmimancapocoalloscaderedeltempodevoarrivarealrollecivediamolà".
Una singola parola che ogni donna aspetta nella vita di sentirsi dire dal suo innamorato.
Dopo poco Ale cade, ma nessuno lo aiuta a rialzarsi per paura che venga squalificato come il maratoneta Dorando Pietri, ma non ce ne è bisogno perché torna subito a correre come una molla caricata a dopamina.
I 2 raggiungono il traguardo dopo pochi minuti dall'arrivo di un incredulo, ma felice, Tom che ormai li dava per spacciati.
24 ore di sofferenza inaudita, dolori lancinanti, crisi fisiche, emotive e psicologiche, questo è molto altro nell'impresa. Solo degli idioti, dei masochisti, dei poveri stronzi potrebbero pensare di ripetere una cosa del genere senza imparare la lezione di quanto sia inutile, terribile e tragicamente dolorosa la Translagorai Classic FKT.
Ci accomiatiamo dagli organizzatori e dagli altri partecipanti presenti al Rolle con una domanda: "Ci troviamo qui stessa ora l'anno prossimo?".

PS:
Se vi sembra che questo racconto contenga un mucchio di baggianate e si discosti da quella che dovrebbe essere una descrizione di un ultramaratona, avete ragione. Gli autori volevano rendere partecipe il lettore della più grande paura che ci ha attanagliato durante la gara, soprattutto nell'ultimo tratto: andare fuori traccia!

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