Translagorai Classic

20/09/2020 Stefano Cariboo Serena

Il Lagorai lo conoscevo come nome. Non ci ero mai stato.

L’anno scorso un amico della zona con cui ero stato in Lapponia, mi disse: che dici una 3 giorni sulla Translagorai tutti e tre? (c’era un terzo con noi su al nord). Ovviamente il mio fu un ok!

Poi tutto è un po’ caduto nel dimenticatoio. L’inverno e il lockdown hanno fatto il loro lavoro.
Giusto il Covid… ero iscritto a 3 gare, una di preparazione e due sogni nel cassetto. Gare annullate, giustamente.
Durante il lockdown mi sono sparato  podcast, video, meet e film con tema unico: l’ultrarunning!
In realtà a me piace la branca tecnica dell’ultrarunning. Percorsi tecnici in quota. Forse perché non sono un grande corridore… e li, non si corre troppo.
Si comincia a sentire l’acronimo FKT (Fastest Known Time). Si parla di ciò che può sostituire le gare e qui in Europa, gli FKT non vanno ancora di moda. Ci ha pensato il Covid e farceli conoscere.
Insomma, questi strani personaggi che frequento online, parlano di FKT e di Translagorai.
Un giorno le due cose si sono unite. Translagorai Classic FKT.
Ecco che è tornato a far capolino nella mia mente quel percorso.
Andate male due avventure che mi ero prefissato di fare, a fine agosto ho detto: bon, Translagorai sia. Vado.
Volevo andare da solo. La faccio da solo, mi dissi. Graziana mi scrive: se ti va vengo anche io, se mi vuoi ancora con te per monti vengo volentieri.
Sull’alta via dell’Ortles è stato un DNF, ma ci siamo divertiti.

OK, 20 settembre. Prendere o lasciare. Ci sono, mi dice.
Sabato sera, 19 settembre alle 23,30 siamo in auto al Passo Rolle. Stiamo entrando nei sacchi a pelo. Metto la sveglia alle 5. Partenza ore 6. Saranno poi le 6 e 20 in realtà.
Un boschetto, poi subito si apre il panorama e si entra in un mare di roccia. Saranno ore e ore così.
Ganda, ganda e ancora ganda. Paesaggi spettacolari, ma sempre con gli occhi sui piedi per non sbagliare l’appoggio e finire tra due massi di granito. Andiamo avanti abbastanza bene, è una marcia veloce a balzelloni e nessuna traccia di un sentiero battuto. Le ore passano, ma i km molto meno. Su questi percorsi si va piano, e si che noi due siamo abituati ai sentieri dell’Adamello, ma qui è di più. 

Sette ore circa e siamo solo al km 25, seduti al tavolo di Malga Sadole. Mangiamo una pasta, beviamo due birre, due Coca Cola, due caffè e ci facciamo fare due panini. 

Sapevamo che probabilmente saremmo arrivati al Manghen con il rifugio chiuso e al Sette Selle di notte, per cui chiuso anche quello. Quindi abbiamo deciso di rifocillarci per bene qui.
“Da li è più scorrevole” ci dicono. Si, forse i primi km, poi tornano lo sfasciume, la ganda, i traversi con le frane. Insomma, si procede lenti. Di correre, come prima, solo in discesa. Corricchiare più che correre, perché la Panarotta è lontana. Lontanissima e quindi ci risparmiamo.

Il passo Manghen ci han detto che è al km 50. E’ già buio da un po’. C’è la nebbia. Siamo stanchi, ma al km 48. Ormai ci siamo. Sarà li dietro. O li dietro. Dopo quel traverso. Alla Forcella Montalon, il delirio, il cartello con scritto “Manghen 3 ore”.
Una sberla in faccia. Un pugno in pancia. La depressione. Comincia il down.
“Dai, dobbiamo andare comunque” dico. Questo benedetto Manghen arriva poi al km 54 e rotti, un’ora e mezza più tardi.
Chiuso. E’ tardi e fa freddo. Mangiamo qualcosa, cerchiamo la fontana che non c’è e dopo una mezz’oretta circa, ripartiamo. Fa freddo.
Siamo tranquilli, dovrebbero mancare 20 km e tutto dovrebbe essere più facile. Si guadagnano ore adesso, ci dissero. 

A parte brevi tratti, è tutto impegnativo. Ancora km di sfasciumi, frane e salite. I km non sono certo 20 come pensavamo, ma saranno 30.  Alle 23 o 24 circa, in un bivacchino nel boschetto vicino ad una malga, abbiamo incontrato due ragazzi seduti ad un tavolo di legno che si scaldano vicino al fuoco. “Dentro c’è un rubinetto se volete, l’acqua non sappiamo se sia potabile”. Decidiamo di riempire borracce e camelbag. Ci mettiamo almeno un quarto d’ora, l’acqua scende piaaaaaaaano, ma ci serve e portiamo pazienza.

Ripartiamo. Traversi. Si sale. Si scende. Traversi. Ganda. Terriccio. Si Sale. E i km faticano ad accumularsi.
Io sono stanco e ho un paio d’ore di down. In salita fatico, Graziana sale bene. In discesa vado bene io, lei è più prudente.
Fa freddo e a circa 12 km dalla fine della traccia che sto guardando sul Garmin da tante e troppe ore, un cartello: Ristornate Panarota (con una T). “Si sale di lì per forza. Vai” dico a Graziana senza guardare il gps. Lei impreca per l’ennesima salita che non doveva esserci.
Siamo stanchi, non mangiamo da ore, beviamo solo acqua da 10 o 12 ore e facciamo fatica. “voglio un Chinotto” mi dice. Io un succo di frutta. Ma non abbiamo nulla. Solo acqua. Che palle!
Siamo fuori traccia. Adesso come glie lo dico? E’ già alta sulla salita e io sto faticando. Queste due ore di down mi fanno faticare anche a parlare.
“siamo fuori traccia”
La obbligo a scendere, impreca “sappi che se ti sei sbagliato ancora, io li non ci salgo più”.
Zitto, prendo il sentiero basso e marcio di buon passo sulla traccia giusta stavolta. Graziana è dietro di me in silenzio.
Comincia a fare davvero freddo. Sono le ore più fredde. Ma albeggia e vediamo finalmente la Panarotta. Sembra deserta.
Prima ancora di essere contenti che stiamo arrivando, pensiamo a come arrivare in paese per prendere i mezzi pubblici per tornare a Passo Rolle. Ci arriveremo poi alle 5 e 30 del pomeriggio.
Siamo stanchi, di ore ne sono passate tante e più di quelle che ci aspettavamo, ma è stata una grandiosa giornata di sport e condivisione.
Appena messo piede in Panarotta, ci chiama Fausto, noi tre assieme avremmo dovuto essere alla PTL “bravi ragazzi complimenti”. Chiamiamo le nostre famiglie che da casa aspettano notizie.
Il cerchio si è chiuso.
Fa freddo, e abbiamo sonno. Sono 26 ore e mezza che non dormiamo, 25 ore che siamo in giro, ma qualche sorriso ora si vede.
“Dai, torniamo a Passo Rolle adesso”

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